La cetra miniaturistica, rinvenuta nel 1911 a Taranto in località Piazza d’Armi, in via F. Di Palma (Tomba n. 7), è in terracotta policroma, con tracce di vernice bruna e rosata. L’oggetto, con un’altezza di circa 13 cm, si data intorno al I sec. a.C.
La cetra (kithàra) fu lo strumento a corda più utilizzato dagli antichi greci. La sua struttura è ben più complessa rispetto a quella della lyra, e consentiva di ottenere suoni articolati, di grande presa sul pubblico, tanto che fu impiegata quasi esclusivamente come strumento solista, a differenza della lyra che spesso accompagnava il canto.
Le pitture vascolari, fin dal VI-V secolo a.C., ci permettono di capire la forma di questo strumento.
La cetra era uno strumento musicale simile all’arpa, di grandi dimensioni (talvolta superava la metà dell’altezza di un uomo), costituito da una cassa di risonanza in legno di forma trapezoidale, più o meno arrotondata. Dalla cassa di risonanza s’innalzavano due bracci laterali, sui quali si innestava il giogo, utile a tendere le corde poiché era in grado di ruotare mediante due chiavi disposte alle estremità. Stringendo o allentando le corde della cetra si otteneva un suono più o meno grave.
Dato che lo strumento aveva un peso non indifferente, il suonatore era dotato di una cintura in cuoio che permetteva di mantenere la cetra in posizione verticale.
Nelle rappresentazioni vascolari vediamo spesso un lembo di stoffa che pende al di sotto della cetra, utile a ricoprire le corde, riparandole dall’azione atmosferica quando lo strumento non veniva suonato.
La cetra era spesso decorata con intarsi e materie preziose. Gli scrittori antichi raccontano perfino di cetre d’oro o d’argento, sebbene senza dubbio rare.
Come ogni altro strumento anche la cetra ha subito un’evoluzione nella forma, divenuta canonica a partire dal VI secolo a.C. e soggetta ad ulteriori modifiche durante l’età ellenistica.
Cetra miniaturistica in terracotta policroma