Cratere a volute protoitaliota attribuito al Pittore delle Carnee

17 ottobre 2022 17 ottobre 2022

Il monumentale cratere a figure rosse (alt. cm 82,8, diam. all’orlo cm 47), insieme all’altro grande cratere eponimo del Pittore della Nascita di Dioniso, anch’esso esposto nella Sala VI del MArTA, venne rinvenuto in maniera fortuita nel 1898 a Ceglie del Campo (presso Bari), corrispondente all’antico insediamento peuceta di Kailia/Caelia. Dalla scena raffigurata sul lato secondario, identificabile con certezza con la festa in onore di Apollo Karneios, il cui epiteto è riportato su un pilastrino che delimita sul lato sinistro la rappresentazione del registro inferiore, deriva il suo nome il Pittore delle Carnee, una delle più significative personalità della produzione ceramografica protolucana degli ultimi decenni del V sec. a.C. Celebrate a Sparta e in varie località del mondo dorico, compresa la colonia spartana di Taranto, nel mese Carneo (luglio-agosto), queste feste originariamente campestri prevedevano sacrifici e banchetti sacri, questi ultimi allestiti all’interno di tende erette all’aperto, una corsa di giovani recanti grappoli d’uva (staphilodromoi) e danze rituali, delle quali il cratere di Ceglie ci offre un’immagine puntuale ed evocativa. A sinistra, accanto al pilastrino con il nome del dio, due giovani nudi stazionano presso un bacino (louterion). Quello a sinistra sta per indossare un ampio copricapo di paglia a cerchi concentrici, bordati da una serie di elementi simili a fiammelle; lo stesso indossato dalla giovane donna che, al centro della composizione, danza vorticosamente facendo gonfiare e sollevare il leggero chitone che le fascia le gambe. L’altro ragazzo, con un piccolo contenitore per olio profumato (aryballos) nella mano destra, reca sul capo un secondo tipo di copricapo rituale – indossato anche dal giovane nudo che accompagna la fanciulla nella danza – costituito da foglie di palma disposte a raggiera. Si tratta con ogni probabilità dello psilinos stephanos noto dalle fonti letterarie. La danza rituale eseguita da giovani di entrambi i sessi in onore di Apollo Karneios era invece detta “danza del kalathiskos” per la somiglianza ad un cesto (kalathos) dei cappelli di fibre vegetali indossati dai partecipanti. Tra i due giovani con copricapo di foglie staziona un suonatore di doppio flauto (aulos) riccamente abbigliato, recante nella destra lo strumento a fiato e nella sinistra la phorbeia, la fascia di cuoio impiegata per far aderire il flauto alle labbra. Un’ulteriore coppia formata da un giovane ammantato e da una fanciulla con cappello di paglia chiude la composizione sul lato destro. Il registro superiore mostra una scena di carattere mitologico il cui legame con la cerimonia del registro inferiore è dato dalla sua probabile natura di dramma satiresco, allusivo alle rappresentazioni teatrali che avevano luogo nella cornice delle Carnee: l’eroe Perseo, al centro, esibisce la testa mozzata di Medusa a un gruppo di Sileni che fuggono inorriditi.
Diversamente che sul lato secondario, la scena dipinta sul lato principale si dispone su un unico registro che occupa interamente il corpo del vaso. Al centro, seduto su una roccia, è Dioniso, con gli stivali da cacciatore e una benda rituale di lana (mitra) stretta intorno alle tempie, da cui fuoriescono foglie di edera; con la destra regge un bastone la cui terminazione, posta dietro al capo, è costituita da una serie di capsule di papavero da oppio (Papaver somniferum). Alle sue spalle Artemide, la dea cacciatrice che condivide con Dioniso le selve e i paesaggi montani, indossa un corto chitone coperto da una pelle ferina e regge nelle mani una torcia e una situla (secchiello). La scena allude al thiasos notturno che attira le seguaci del dio dell’ebbrezza, le Menadi, nello spazio non civilizzato in cui si muovono creature semiferine come il Satiro dalle orecchie caprine posto sul lato destro della composizione. A sinistra una Menade, accompagnata da una suonatrice di doppio flauto, offre un’immagine plastica dell’estasi dionisiaca: con il capo rovesciato all’indietro, il collo gonfio e lo sguardo fisso, danza furiosamente scuotendo il tirso, il bastone dalla terminazione a pigna formata da tralci di edera trattenuti alla base da bende rituali.

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