Eulalia: Il suo ricordo in una stele funeraria in calcarenite del XII secolo

21 febbraio 2022 21 febbraio 2022

Nel Museo Archeologico di Taranto alcune stele funerarie rimandano al Tardoantico e al Medioevo, rivelando la ricchezza etnica della popolazione di Taranto.
Tra queste ve ne è una bizantina, riferibile al culto cristiano grazie al testo epigrafico e alla croce ad estremità svasate che compare sia nella fronte che nella superficie posteriore.
Nella facciata principale, lo specchio epigrafico è diviso in quattro zone dai bracci della croce, sulla quale compaiono le lettere greco bizantine IC (Iesus) in alto e XC (Christos) in basso, al centro vi è una croce incisa e nei bracci trasversali la parola NIKA (Vittoria) in segno di acclamazione.
L’iscrizione vera e propria, ricostruita, reca la seguente frase, che proponiamo in traduzione:
la serva di Dio Eulalia si addormentò nel mese di ottobre, nel giorno del Signore(…), nell’undicesima Indizione.
La lapide è stata trovata nei pressi della Chiesa del Carmine il 24 ottobre 1884.
Il tipo di stele funeraria con al centro la croce è tipica del XII secolo, ed attestata nel Salento, in Asia Minore e anche a Costantinopoli.

Come era Taranto nel XII secolo?
E soprattutto, qual era il suo aspetto? Questa è una domanda alla quale non è facile rispondere.
Certamente la città si era ormai arroccata nell’ex acropoli, dando vita a quella che noi chiamiamo oggi Città Vecchia. La presenza delle iscrizioni cristiane ed ebraiche nell’area di Montedoro, fra la antica via di Santa Lucia e la chiesa del Carmine ci indica che i sepolcreti non erano divisi per componente etnico religiosa, almeno in questa area.
La stele di Eulalia, del XII secolo, potrebbe essere pertinente alla presenza di un luogo di culto cristiano precedente la chiesa di Santa Maria Maddalena che sorgeva ove ora si trova il santuario del Carmine.
L’uso del greco non deve stupire: anche a più di un secolo dalla conquista normanna (1060 circa) gran parte della popolazione era di origine greca e continuava a comunicare, anche per l’eternità, con la lingua dei padri.

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