Il tumulo di poggio pelliccia nel territorio di Vetulonia

06 agosto 2021 06 agosto 2021

Individuato nel 1960 circa 10 chilometri a nord-est di Vetulonia, il complesso funerario di Poggio Pelliccia fu indagato da Anna Talocchini negli anni 1971-1972. Il tumulo, in massima parte artificiale, presenta al centro una tomba a camera a pianta quadrata: la volta a falsa cupola sostenuta da “pennacchi angolari”*, i lastroni monolitici ai lati della porta d’ingresso e il lungo corridoio di accesso (dromos) coperto solo nell’ultimo tratto sono elementi di confronto con le coeve tholoi* monumentali di Vetulonia, dalle quali si differenzia per l’assenza del pilastro al centro della camera. Il monumento (150 m circa di diametro) è delimitato da un circolo di blocchi di pietra. All’interno del recinto erano due tombe a fossa coperte da lastre di alberese*, una delle quali, intatta, conteneva i resti di una donna inumata e del suo corredo, inquadrabile nell’Orientalizzante* medio. All’interno della tholos si recuperarono i resti di più corredi che ne documentano l’utilizzo dalla metà del VII alla metà del V sec. a.C. La ricca suppellettile testimonia l’appartenenza della tomba a una famiglia di alto rango, dislocata sul territorio in uno dei piccoli insediamenti posti a controllo degli itinerari che collegavano la città ai giacimenti minerari presso Massa Marittima. Tra i materiali, oltre a numerosi vasi di bucchero etrusco, si annoverano le ceramiche provenienti da Corinto (brocche da vino e contenitori per profumi) e dall’ambito greco-orientale: le tipiche coppe “a uccelli” di VII sec. a.C. da Rodi, le coppe “ioniche” da Samo e Mileto, di pieno VI sec. a.C., i due preziosi calici di Chio e il raro vasetto configurato a testa di aquila, prodotto raffinato delle fabbriche di Rodi. Tra le ceramiche figurate importate dall’Attica si segnalano pezzi anche molto antichi e di pregio (prima metà del VI sec. a.C.). Di grande qualità sono le oreficerie di produzione vetuloniese: accanto alla fibula in lamina aurea, decorata nella tecnica “a pulviscolo” con figure di sfingi, grifi e leoni alati, fra riempitivi vegetali che spuntano tra le zampe degli animali o pendono dalle loro bocche, una seconda presenta, impressa a stampo su entrambi i lati della staffa, una teoria di cavalieri al galoppo con frustino nella mano sinistra. Può trattarsi di una parata di aristocratici, impegnati in una cerimonia solenne volta a esaltare il rango del defunto.

Forse non tutti sanno che…
* Si definisce falsa cupola o pseudo-cupola una copertura realizzata mediante anelli orizzontali concentrici di blocchi progressivamente aggettanti, in grado di reggersi per semplice sovrapposizione. Una struttura così realizzata, in greco, è detta thòlos (plur. thòloi). Il raccordo tra la pianta quadrangolare della camera e quella circolare della pseudo-cupola avviene per mezzo di elementi triangolari detti pennacchi.
* L’alberese è una pietra calcarea compatta, utilizzata in Toscana fin dall’antichità.
* L’Orientalizzante è un periodo della civiltà etrusca, compreso all’incirca fra il 720 e il 580 a.C., caratterizzato dall’amplissima diffusione di prodotti e motivi ornamentali provenienti dal settore orientale del Mediterraneo (Asia Minore, Cipro, Fenicia, Siria, Egitto, fino al lontano regno di Urartu nell’attuale Armenia). Tali motivi sono percepiti come un segnale di prestigio dalle aristocrazie etrusche, che si ispirano allo stile di vita delle corti orientali.

Contesto

Il progetto è incentrato sulla ricostruzione al vero (ed è la prima volta che accade) della tomba a camera con tumulo di Poggio Pelliccia, nel territorio della città
etrusca di Vetulonia. Non una rassegna di oggetti in vetrina, decontestualizzati, ma una esposizione degli stessi in un contesto funerario realistico di VII sec. a.C., in cui gli oggetti accompagnavano il defunto nell’ultimo viaggio. Il monumento funerario, sottoposto nei secoli a intromissioni e saccheggi ed oggi privo della cupola e dei letti funebri in pietra, è stato fatto oggetto di un puntuale rilievo topografico e materico-cromatico, nonché di una esauriente documentazione fotografica, sulla base dei quali è stata elaborata la fedele ricostruzione della tomba in scala 1:1.
Il progetto illuminotecnico ha curato particolarmente il corridoio di accesso (dromos) con il vestibolo e i due letti/vetrine, in cui i reperti sono illuminati puntualmente da sorgenti di luce nascoste fra le pietre. La suggestione del sacro è trasmessa dalla figura pura e perfetta del cerchio, che rappresenta nell’antichità la proiezione della volta celeste sulla terra, alla camera funeraria, che passa in pianta dalla forma quadrata al suolo (simbolo della terra) a quella circolare in alto simbolo del cielo, sede della divinità. La stessa sequenza di dromos a cielo aperto, vestibolo coperto e camera funeraria chiusa evoca immediatamente quel passaggio dalla vita alla morte, sul quale, per citare D. H. Lawrence, l’animo degli Etruschi non cessò mai di meditare. L’emozione che si intende trasmettere al visitatore vuol essere proprio quella di ripercorrere insieme al defunto l’itinerario dalla vita alla morte. La visita avviene nella semioscurità, perché le tombe erano buie e rischiarate solo occasionalmente dai fugaci bagliori delle torce. In sintesi, un allestimento nato dalla visione scientifico-culturale della direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Taranto Eva Degl’Innocenti di poter coniugare il rigore scientifico con la spettacolarità della ricostruzione realizzata con l’arte della cartapesta, in cui la tomba fa da palcoscenico alle straordinarie testimonianze artistiche in essa ritrovate al momento della scoperta, come i preziosi gioielli in oro che ricoprivano il corpo della donna ivi sepolta. La “casa del defunto” è intesa non come semplice contenitore di un’antologia di pezzi archeologici, ma come luogo dove è rimesso in scena il rito funerario con il suo incedere maestoso e il suo significato simbolico. E dove gli oggetti del corredo posati sui letti funebri ritornano protagonisti. La restituzione del monumento funebre è stata realizzata, su progetto dell’arch. Luigi Rafanelli, dall’artista Nicola Genco, erede di uno dei più rappresentativi cartapestai di Putignano, con la collaborazione logistica e tecnica degli artigiani massafresi Piero Parisi e Mirco Salvi, nata dall’idea della direttrice del Museo Eva Degl’Innocenti di unire il patrimonio culturale materiale e immateriale della tradizione artistica della cartapesta di Putignano e Massafra. La tecnica di costruzione del dromos e della camera funeraria ha previsto l’uso della cartapesta, elemento che caratterizza fortemente il territorio e unisce i due paesi d’origine dei costruttori, oltre al polistirolo ignifugo ove è stata necessaria una restituzione ancor più realistica del manufatto.

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