Verosimilmente dalla necropoli tardoromana di Montedoro, nella parte più prossima all’antica via di Santa Lucia proviene questa lucerna, il cui diametro massimo è 8,1 cm circa per una lunghezza totale di 12 cm.
La forma, piuttosto schiacciata, presenta un serbatoio di forma circolare, che si allunga in corrispondenza del becco, dalla forma arrotondata e con un largo foro per lo stoppino. Il fondo è piano e il profilo del serbatoio si restringe leggermente verso il fondo. È completata da una piccola presa opposta al beccuccio.
La decorazione si trova sulla spalla e rappresenta una coppia di rami stilizzati disposti tra cerchi dotati di un anello interno perlinato; ai margini esterni del disco centrale, del canale e della base dell’ansa sono presenti una serie di punti a rilievo.
Il motivo del ramo potrebbe anche suggerire una valenza religiosa appena accennata.
Si tratta dell’imitazione di una lucerna cosiddetta “tripolitana”, prodotta in Libia tra il IV e il V secolo d.C., l’argilla e la finitura della lucerna infatti rivelano una realizzazione locale.
Il tardoantico e le imitazioni
Anche se Taranto, che era un’importante città del Mediterraneo, non ha subito la crisi che solitamente nei libri di scuola si associa alle fasi finali dell’impero romano e ai secoli successivi, noi possiamo comunque notare, a partire del IV/V secolo dopo Cristo, la tendenza a imitare prodotti pregiati che provenivano, come nel caso della lucerna tripolitana, dalla costa sud del Mediterraneo.
Dall’area egea e dalle coste africane provenivano infatti vasellame pregiato e lucerne che attraverso il commercio marittimo erano esportate in tutto il mondo antico.
In particolare le lucerne erano molto facili da riprodurre, realizzando a stampo la matrice direttamente dall’originale. Cosa le differenziava? Come detto, la finitura e il tipo di argilla, che nelle imitazioni non presenta la superficie lucida e netta dell’originale.