Questo piatto, alto cm 2.6 e dal diametro di circa cm 21, con tesa a profilo leggermente concavo e vasca poco profonda reca una decorazione piuttosto particolare: su fondo bianco è tracciata una figura maschile, con il corpo visto frontalmente e la testa invece di profilo, accanto ad un louterion (bacino per le cerimonie sacre o le abluzioni).
Quello che colpisce è il soggetto: un giovane dalla pelle scura e tratti somatici africani che indossa un abito assolutamente non greco: una casacca a maniche lunghe e dei pantaloni, entrambi con decorazioni che oggi definiremmo etniche.
Ai lati dell’uomo vi è la scritta, ripetuta, Kalòs: bello.
Il piatto, di cui non si conosce il contesto originario, si data tra il 475 e il 470 a.C, ed è stato prodotto nella regione di Atene.
L’amore non ha/aveva confini
Il mondo antico non era un mondo gentile verso gli stranieri. La cultura greca aveva elaborato il concetto del barbaro, cioè di colui, che non avendo il greco come lingua madre, si esprimeva farfugliando, in maniera confusa, e che solo nel tempo, e a fatica, si inizierà a percepire come essere umano a tutti gli effetti.
Il nostro piatto è stato prodotto subito dopo le guerre che videro uno scontro di visioni del mondo e della società tra Greci e Persiani. Quale periodo dunque poteva essere più influenzato dalle divisioni etniche, politiche, ideologiche? Eppure…il giovane uomo è chiamato, due volte, kalòs/ bello. Il sentimento amoroso e la seduzione non hanno badato alle origini geografiche e allo status sociale (sicuramente il personaggio non era un cittadino libero). Dobbiamo forse imparare qualcosa, noi uomini e donne del 2022?