La corona è composta da sette elementi a rosa, tra i quali quello centrale è più grande, mentre gli altri fiori sono disposti in ordine decrescente. Gli elementi floreali hanno una doppia serie di petali di forma esagonale a margini appena arrotondati con un piccolo elemento centrale che simula gli stami.
Si completano con graffette funzionali al fissaggio al nastro rettangolare che costituisce la parte fissa della corona, di forma irregolarmente rettangolare e con due fori alle estremità, che dovevano permettere la chiusura della corona intorno alla testa grazie a un nastro.
La corona, priva di indicazioni specifiche sul contesto archeologico, indubbiamente funerario, proviene dal territorio di Carbonara, corrispondente alla città peuceta di Kaeliae (Ceglie del Campo – BA) e risulta essere stata rinvenuta nel 1910.
Le corone auree del MArTA
Questa tipologia di oreficerie paradossalmente è stata poco studiata sino alla celebre mostra sugli Ori di Taranto del 1985: un dato singolare, se si pensa alla grande valenza simbolica e sociale delle corone.
Non vi è dubbio che siano da attribuire a destinazioni funerarie anche quando, come nel nostro caso, non sono noti di dati del rinvenimento.
La corona, nata originariamente come elemento vegetale legato a diverse divinità alle quali il mito collegava le essenze vegetali (la quercia a Zeus, l’alloro ad Apollo, l’ulivo ad Atena ecc.) divenne con il tempo elemento che indicava i meriti, gli onori e la classe sociale del defunto, che in questo modo viene indicato come un eroe. Il loro uso nella necropoli ellenistica di Taranto è attestato in diverse tipologie: a foglie di alloro, di edera, di mirto, a rose/rosacee, a foglie di ulivo e foglie di quercia.
Il nostro esemplare da Kaeliae, databile al III secolo a.C. è un unicum nella pur ricchissima produzione tarantina.